Solo un’Italia connessa ha un futuro

29 Aprile 2020 Smart Building Italia


Smart Working come soluzione forzata, scuola online ancora soggetta a problemi di rete, pubblica amministrazione in grave ritardo sui temi digitali: per sperare di uscire competitivo dalla pandemia in corso il Paese deve recuperare almeno in parte questi gravi ritardi. Per questo il Presidente del Consiglio invoca un aggiornamento della Costituzione con cui garantire accesso online a tutti gli italiani, le cui conoscenze tecnologiche rilevate dall’Istat rimangono carenti. Con conseguenze che affiorano anche in significative storie paesane. Secondo Luca Gastaldi, del Politecnico di Milano, l’investimento nel digitale deve diventare prioritario e duraturo, altrimenti sarà recessione, sicura e pesante.

Benvenuto lo Smart Working in tempo di pandemia di coronavirus, ma neanche tanto per il 47% degli impiegati italiani che, secondo un report pubblicato in questa primavera dal quotidiano online Key4Biz, teme di perdere il posto perché non dotato degli strumenti con cui operare da casa.

O anche: italiani in quarantena davanti al computer, ma attratti da esercizi per dimagrire, di cui c’è inflazione, piuttosto che da corsi di formazione, un po’ più sporadici se si guarda ai dati diffusi dalla piattaforma americana SEMrush a proposito delle ricerche online compiute dagli utenti del nostro Paese durante i primi mesi di quarantena. La dieta prima dell’emancipazione tecnologica è d’altra parte una tendenza di massa in linea con il report Istat 2019 su “italiani e internet”, dove fra i vari dati spiccano un 68% di cittadini dai 6 anni in su che vanno sul web almeno una volta ogni tre mesi, e un 30% scarso di questi utenti dotati di elevate competenze digitali nella fascia 16-74 anni, la stessa in cui resiste un 3,4% di utenti privi di alcuna cognizione digitale.

Sulla base di segnali del genere, è il caso di un aggiornamento della Costituzione in grado di garantire a tutti i cittadini italiani pari diritti e opportunità nell’accesso alla rete di internet, oggi più che mai indispensabile?

La domanda, sollevata anche dal presidente del consiglio Giuseppe Conte, è di un’attualità così cogente che per scovare esempi in grado di darne testimonianza c’è solo l’imbarazzo della scelta. In attesa di scoprire come il tema verrà declinato nella prossima fiera dell’integrazione Smart Building Levante, a Bari il 20 e 21 novembre prossimi, succede che perfino in un paesino come Manciano, comune di settemila abitanti in provincia di Grosseto, finiscano sotto i riflettori nazionali due storie generate da un presente così difficile e complicato.

Una storia riguarda il vicesindaco Luca Pallini, 54 anni, artigiano, eletto nella lista civica Manciano Idea Comune, sentitosi in dovere di rassegnare le dimissioni dopo avere postato un sole splendente come gradimento personale all’inno fascista “Faccetta nera”, pubblicato su Facebook nella non casuale data del 25 aprile, festa della liberazione dalla dittatura mussoliniana. Dimissioni respinte di imperio dal sindaco Mirco Morini.

L’altra vicenda, diffusa via video in tutta Italia tramite un servizio trasmesso dal tg della rete nazionale TV2000, ha per protagonista Giulio, un ragazzino di 12 anni iscritto alla classe prima della scuola media Pietro Aldi di Manciano. Residente con la famiglia in aperta campagna, Giulio non ha in casa alcuna connessione di cui giovarsi, tanto che sua madre racconta alla telecamera di una causa in corso per ottenere un allacciamento mancante da ormai cinque mesi. Così, in attesa di una qualche soluzione alla vertenza, la donna è costretta ad accompagnare ogni giorno il figlio in auto fino a due chilometri dalla loro abitazione, in un tratto di aperta campagna dove Giulio riesce a collegarsi con un tablet a docenti e compagni della sua classe. “Durante una di queste lezioni online mi hanno detto che dietro di me si è sentito chiaramente il verso di un capriolo” racconta il simpatico e volenteroso scolaro, rimarcando così la distanza rilevabile fra la sua “aula” a cielo aperto, per certi versi bellissima, e il resto della classe.

Pur molto diverse fra loro, queste due storie del comune di Manciano ci raccontano di un’Italia scollegata e anacronistica, dove la didattica online non è un diritto acquisito ma una faticosa conquista, e dove il vicesindaco di una lista civica può permettersi di inciampare impunemente nello sfregio della più importante ricorrenza civile del Paese, con il risultato di essere immediatamente confortato dal sindaco, prontissimo a minimizzare sulla gravità dell’accaduto dichiarando “totale fiducia” nel proprio braccio destro.

A questa deriva si giunge lasciando ammuffire nel cassetto delle buone intenzioni proprio la Costituzione nata dalla Resistenza antifascista, che è la stessa a cui fa riferimento il Presidente Conte auspicando uguali diritti di connessione per i 60 milioni di italiani attualmente residenti in patria. Nei fatti, il premier sceglie la conferenza stampa dello scorso 7 aprile, organizzata allo scopo di illustrare il decreto legge varato per la scuola nell’anno del coronavirus, per dire a chiare lettere: “Fosse per me inserirei una modifica alla Costituzione con il diritto di accesso alle reti info-telematiche. Il concetto della libertà sostanziale espresso dall’articolo 3 prevede che la Repubblica rimuova gli ostacoli di ordine economico e sociale che impediscono il pieno sviluppo della persona umana e la sua effettiva partecipazione alla crescita del Paese“.

Le premesse su cui Conte poggia questa provocazione sono anche troppo solide, e risiedono in quel deficit telematico che affligge l’Italia da sempre, come testimoniato ogni anno dalla graduatoria relativa a “Desi”, l’indice di digitalizzazione dell’economia e della società rilevato dall’Unione Europea in tutti i Paesi membri: la posizione italiana ondeggia fra il 24° del 2019 e il 25° posto 2018 su un totale di ventotto stati, confinata in una retroguardia continentale dovuta soprattutto a due fattori, che sono insufficiente connettività e arretratezza nella digitalizzazione della pubblica amministrazione, aree tematiche non disgiunte dai due episodi registrati nel comune di Manciano.

La situazione è talmente, e drammaticamente, chiara, che prima ancora della parola diritto, io userei quella dovere” esordisce il professor Luca Gastaldi che, oltre a essere docente nei corsi di ingegneria gestionale, dirige l’osservatorio Agenda Digitale del Politecnico di Milano. “Perché diritto è vocabolo da slogan – continua Gastaldi – mentre l’arretratezza del sistema Italia su certi fronti è ormai così insostenibile da obbligare chi deve e chi può a intervenire presto e bene. Mi riferisco ad esempio ai ritardi gravissimi accumulati nel corso di decenni dalla pubblica amministrazione, ancora così burocratizzata e macchinosa, e alla scarsa digitalizzazione delle famiglie: è l’Istat a segnalarci che il 14% dei nuclei con almeno un minore risulta totalmente privo di computer“.

Vedo anch’io – continua Gastaldi – che la quarantena ha velocizzato pratiche di Smart Working negli uffici pubblici, per lo meno dove si può, oltre ad avere costretto tutte le scuole italiane a fare di colpo il salto nella didattica online. Ma adesso, fatti i primi miracoli, occorre continuare seguendo piani precisi, perché la resilienza che ci viene richiesta con questa pandemia potrebbe avere tempi lunghi, e non si può affrontarli senza risorse e organizzazione. Diversamente, la recessione del Paese sarà inevitabile“.

Proviamo solo a pensare ai matrimoni – precisa il docente del politecnico per entrare nel concreto. – Se vogliono sposarsi un calabrese e una milanese, affrontare viaggi di duemila chilometri fra andata e ritorno nelle condizioni attuali diventa un’impresa ai limiti dell’impossibile, e comunque costosa. Se invece i comuni italiani dialogassero fra loro in rete, potremmo arrivare a una bella e funzionale Anagrafe Unica in grado di fornire certificati a chilometro zero“.

Detto in estrema sintesi, il dovere a cui si riferisce il professor Gastaldi riguarda gli investimenti prioritari sulla digitalizzazione del Paese, inteso come sistema pubblico-privato da mettere nelle condizioni di superare questo difficile presente per arrivare nelle condizioni giuste al momento di una ripartenza piena ed effettiva. Quest’ultima, infatti, non solo prima o poi ci sarà, ma comporterà anche la necessità di affrontarla con i dovuti alleggerimenti di processi e rafforzamenti di strutture, padroneggiando un grado di competitività che dovrà essere ben al di sopra degli attuali standard da ultimi posti europei.

Presupposti positivi non mancano, guardando a certi numeri. Proprio “un attimo prima” dell’inizio dell’emergenza sanitaria, il 14 febbraio scorso, venivano resi pubblici i risultati della ricerca “Digital 2020”, realizzata dall’agenzia di comunicazione We Are Social, in collaborazione con Hootsuite, sulla vita quotidiana online del popolo italiano. Si apprende dunque da quest’indagine che 50 milioni di italiani usano internet su base giornaliera, trascorrendovi di media sei ore: il totale giornaliero, 300 milioni di ore, è impressionante, e significa che in 24 ore la somma dei tempi di connessione di tutti gli italiani si aggira attorno ai 32mila anni. Se il focus si restringe ai social, i navigatori che li alimentano quotidianamente sono circa 35 milioni, e ognuno di loro vi staziona per periodi di tempo la cui media è circa due ore.

Da italiani connessi a italiani in rete, questa è ora la missione. Che non deve essere impossibile.