Transizione energetica, in Europa c’è chi vuol mettere la retromarcia

22 Ottobre 2022 Angela


La crisi energetica sta facendo emergere una divisione a Bruxelles fra i voleri green della Commissione UE e le resistenze di molti Paesi membri più cauti sull’abbandono del fossile

Se la crisi energetica e gli incombenti problemi legati all’inverno prossimo venturo sono inevitabilmente sulla bocca di tutti, lo stesso non può dirsi per un’altra questione che pure è strettamente collegata e meritevole di altrettanta attenzione. In particolare, ci riferiamo all’impatto che gli eventi innescati dal conflitto in Ucraina rischiano di avere sulla modalità e la tempistica della transizione energetica in Europa, il processo che dovrebbe portare il continente a raggiungere il traguardo dell’impatto zero per la metà del secolo.

I due fronti contrapposti

Attenzione che se manca da parte dell’opinione pubblica – almeno quella italiana – è invece massima ai piani alti dell’Unione europea, anche perché gli ultimi avvenimenti hanno portato ad emergere chiaramente una contrapposizione d’opinioni e d’interessi dapprima strisciante. Da un lato, per sintetizzare, ci sono coloro che vedono nell’attuale crisi geopolitica l’opportunità di accelerare ulteriormente la transizione energetica per affrancarsi dal fossile e ancor prima dalla dipendenza energetica nei confronti della Russia. Dall’altro lato, c’è chi vuole invece premere il freno ritenendo inopportuno legarsi troppo alle rinnovabili, con il rischio che si rivelino insufficienti, per ovviare al sempre più probabile esaurirsi del flusso di combustibili fossili proveniente dall’Est.

Il perché dell’emergere pubblico del confronto fra queste due fazioni è presto detto. Per quanto riguarda il primo schieramento, è stato facile identificarlo in primis con la Commissione UE dopo che nel mese di maggio con il provvedimento REPowerEU ha proposto di rivedere al rialzo i vari obiettivi green da raggiungere nei prossimi decenni, precedentemente indicati dalla normativa denominata Fit for 55. Fra i numeri resi più “ambiziosi, c’è la percentuale derivante dalle fonti rinnovabili sul complessivo mix energetico europeo nel 2030, innalzata dal 40 al 45%.

Gli emendamenti del Consiglio dell’UE

Sono passati pochi mesi ed è quindi uscita allo scoperto anche la seconda fazione attraverso un’iniziativa legislativa da parte del Consiglio dell’Unione Europea, quest’ultimo l’organismo che riunisce i ministri competenti di tutti i Paesi aderenti per discutere e votare proprio le proposte legislative della Commissione UE. Ebbene, il Consiglio ha deciso di proporre una serie di emendamenti al REPowerEU, fra i quali uno stabilisce di riportare all’originario 40% la percentuale di cui sopra.

Una volontà “revisionista” che è peraltro emersa anche da un’altra iniziativa del Consiglio dell’Unione europea. Infatti, tra gli emendamenti proposti ce n’è uno che, in tema di installazione di nuova capacità rinnovabile, boccia l’attribuzione di un “interesse pubblico prevalente” a questo tipo di interventi. Attribuzione invece voluta dalla Commissione per velocizzare nei Paesi membri gli iter autorizzativi relativi alle fonti rinnovabili, spesso complessi ed esposti alle inefficienze burocratiche come ben sappiamo in Italia. Adesso, inevitabilmente, la parola passa all’arbitro e giudice del confronto di cui sopra, ovvero il Parlamento europeo, che dovrà decidere se accogliere gli emendamenti del Consiglio.