Le comunità energetiche rinnovabili in Italia, un percorso complesso
Il finanziamento delle comunità energetiche rinnovabili tramite il PNRR
L’intervento “Promozione rinnovabili per le comunità energetiche e l’autoconsumo”, nell’ambito della Missione 2 “Rivoluzione Verde e Transizione ecologica”, Componente 2 (M2C2), è stato finanziato dal Mase con 5,7 miliardi, dei quali 2,2 finanziati con il PNRR, con l’obiettivo di contribuire al raggiungimento dei target strategici di decarbonizzazione.
Dal decreto direttoriale della Direzione Generale Programmi e Incentivi Finanziari n° 102 del 5 marzo 2025 si ricava che l’importo complessivamente concesso è pari ad euro 8.569.990,23.
Dalla deliberazione 21 marzo 2025, n. 41/2025/G della Corte dei Conti Sezione Centrale di Controllo si evincono i dati relativi all’attuazione del provvedimento, non certo confortanti.
In particolare vi è una evidente disuniformità nel territorio nazionale: le regioni che hanno formulato il numero più elevato di domande di contributo sono state il Piemonte (238) ed il Veneto (173) seguite dalla Lombardia (163) e dalla Sicilia (100). Per quanto attiene il rispetto della quota Sud del 40 per cento degli investimenti finanziati si ricava una percentuale pari al 35%.
Le istanze presentate hanno sviluppato, sino alla data del 31 dicembre 2024, una potenza teorica aggiuntiva pari a 103.989 KW, quantitativamente molto lontana dal target da conseguire entro il 30 giugno 2026, pari a 1.730 MW.
Dunque, si tratta di un provvedimento che, nato con un anno e mezzo di ritardo, alla luce anche delle rivisitazioni avvenute, appare mal concepito sin dal nascere.
Il quadro legislativo e regolatorio di attuazione della direttiva
Lo schema legislativo e regolatorio (TIAD e regole operative) presenta delle problematiche che sono state evidenziate nel corso di un seminario organizzato il 28 marzo a Bari da questa Associazione e dall’Associazione Nazionale Ingegneri.
Il quadro legislativo e regolatorio complesso e non stabile e l’iter burocratico-amministrativo per la costituzione e l’ammissione ad incentivazione e l’erogazione degli stessi incentivi hanno disincentivato o bloccato molte iniziative.
Le altre barriere rappresentate dalla difficoltà di reperire i capitali iniziali, anche riguardo agli studi di fattibilità economico-finanziaria, e di strutturare modelli di business sostenibili, sono state superate in modo più agevole nelle regioni in cui siano stati previsti appositi bandi di finanziamento o con finanziamenti erogati da fondazioni bancarie.
Le attività di comunicazione istituzionale si sono concentrate, in generale, solo sugli aspetti amministrativi-burocratici, sulle modalità di accesso agli incentivi, che rappresentano solo una delle opportunità che possono derivare dalla costituzione di CER. Si è data poca rilevanza agli originari obiettivi sociali delle CER, considerati nelle CER a trazione ETS, e a come stabilire e misurare gli obiettivi relativi ai benefici socioeconomici e ambientali per le comunità locali.
Nel corso del mio intervento al seminario ho sottolineato la pesante influenza dell’aspetto normativo-regolatorio, la diffusa e fuorviante narrazione (ridimensionata dalle esperienze reali) sulla riduzione dei costi energetici tramite gli incentivi statali, in assenza di cambi di “energy lifestyle” e quindi la proposizione di una gestione burocratica, focalizzata sull’energia condivisa e sugli incentivi, la difficoltà per i membri di partecipare alla gestione della comunità e di poterne verificare i risultati, in assenza di apposite piattaforme di gestione informatiche.
Per questo le tecnologie digitali sono di ausilio, consentono di conoscere in tempo reale il consumo energetico e la produzione, di condividere l’energia elettrica o rivenderla sul mercato, consentono una gestione trasparente che può infondere fiducia e quindi attrarre i cittadini nelle CER ma rappresentano dei costi iniziali aggiuntivi.
Le CER, secondo la prospettiva europea, sono elementi del nuovo sistema energetico urbano intelligente e consentono di fornire benefici ambientali, economici o sociali alle comunità, quindi, sono funzionali allo Sviluppo Sostenibile delle città. La condivisione dell’energia è solo uno degli aspetti caratterizzanti la gestione dell’energia di tali sistemi (che dovrebbero essere gestiti da figure consulenziali esperte).
Ne discende che si devono anche tener in conto gli obiettivi di uso efficiente dell’energia, di elettrificazione dei consumi, la modifica degli stili di consumo, la partecipazione a schemi di flessibilità energetica, il demand response, che consentono di conseguire altri ulteriori benefici economici.
Lo schema regolatorio adottato, infine, induce ciascun consumer e prosumer a modificare, per massimizzare l’energia condivisa, i propri profili di carico e la produzione, in tal modo si trova ad acquistare e pagare al fornitore la stessa energia consumata e condivisa in orari a prezzo pieno, prezzo maggiore dell’incentivazione e valorizzazione del GSE e del ritiro dedicato. In assenza di tecnologie digitali la percentuale di energia condivisa dipende solo da una scelta opportuna del mix di utenze e dai comportamenti virtuosi dei singoli.
Il fatto che, in contrasto con le indicazioni UE, non sia consentito, prima di accedere all’energia del fornitore, di ricevere l’energia prodotta nella stessa CER, che la condivisione di energia non avvenga tramite contratti privati di compravendita tra i cittadini, scambi di energia tra pari, ma che si debba necessariamente passare attraverso la rete energetica nazionale rappresentano aspetti concettuali discutibili, dettati anche dall’esigenza di voler “alleggerire” le reti elettriche di distribuzione, prima, e di trasmissione oggi.
Da ultimo aspetti amministrativi ed economici come la difficoltà di verifica da parte dei membri dei versamenti e conguagli erogati da parte del GSE e l’erogazione degli incentivi e delle valorizzazioni prevista acconti mensili e conguagli annuali e non con lo scorporo immediato in bolletta (a causa della dichiarata inefficienza nella trasmissione dei dati dai DSO al GSE), minano la facilità di partecipazione alle CER.
La proposizione di modelli evolutivi (!) per le CER, improntati pesantemente al mercato e al perseguimento delle economie di scala e ai benefici economici, come le CER nazionali, appaiono ben lontani dal concetto europeo di localismo e quindi di CER come strumento di partecipazione dei cittadini ad un obiettivo comune di sviluppo sostenibile della propria comunità, meglio se trainato dal proprio Comune.
Il ruolo dei comuni nella costituzione di comunità energetiche rinnovabili
Per promuovere la diffusione delle comunità energetiche in Italia si ritiene necessario il coinvolgimento, a vario titolo, dei comuni, livello amministrativo più vicino ai cittadini.
La n. 141 del 12-12-2019, che impone di conformare le proprie attività al raggiungimento degli obiettivi di contrasto al cambiamento climatico e l’iniziativa europea del Patto dei Sindaci per l’Energia e il Clima affidano ai comuni il ruolo di individuare e attuare le politiche energetiche e di contrasto ai cambiamenti climatici.
Emergono e sono esaltate in questa nuova prospettiva, le finalità sociali che sono alla base della concezione europea delle CER e il ruolo di garanzia pubblica (TRUST), elemento chiave per infondere fiducia e ingaggiare i cittadini a far parte delle CER.
A fronte di queste potenzialità il legislatore però non ha modificato in modo congruente la legislazione nazionale, in particolare quella in materia di contratti pubblici, che è ben distante dal portato innovativo contenuto nelle direttive.
Le prospettive
Alla luce di quanto sopra è utile, ed è previsto, che vengano predisposte norme tecniche che forniscano i necessari approcci metodologici integrati e multidimensionali e definiscano gli indicatori per la misurazione e la certificazione delle performances ambientali, sociali ed economiche di questi strumenti multifunzionali per la trasformazione delle città in città sostenibili.