Facciamo chiarezza sul blackout spagnolo: a colloquio col Prof. Massimo La Scala
Dopo la ridda di ipotesi, più o meno tendenziose, sul Blackout spagnolo, abbiamo ritenuto di provare a fare chiarezza con uno dei massimi esperti nazionali ed internazionali di reti elettriche, il Prof. Massimo La Scala, Professore Ordinario di Sistemi Elettrici per l’Energia presso il Politecnico di Bari. La necessità di non produrre ulteriori slogan, privi di fondamento, ci ha portati ad approfondire col Prof La Scala il tema in modo inusuale per una pubblicazione digitale tuttavia, riteniamo, necessaria.
Caro professore, ha fatto molto scalpore il gigantesco blackout che ha colpito nei giorni scorsi la Spagna, parte del Portogallo e della Francia. Subito dopo la diffusione della notizia si sono aperte le ridde delle ipotesi: hackeraggio, guasto tecnico, sovraccarico della rete a causa delle rinnovabili, “oscillazioni anomale” nelle linee ad altissima tensione note come “variazioni atmosferiche indotte”. Quanto c’è di vero in queste ipotesi e quanto è pura fantasia? Dal suo punto di osservazione cosa può essere successo?
In questo momento ci sono ancora incertezze sulle cause del blackout spagnolo e questo non mi stupisce vista la rilevanza dell’evento e la delicatezza della ricostruzione di eventi che per loro natura sono particolarmente complessi da analizzare e largamente impattanti sia dal punto di vista economico che sociale. Sono sicuro, però, che grazie agli strumenti tecnici e regolatori di cui in questo momento disponiamo, nel giro di pochi mesi saremo in grado di ricostruire perfettamente quanto avvenuto.
Quello, che invece, mi ha stupito, al contrario, è la certezza con cui sono stata enunciate, nell’immediatezza dell’evento, tesi per cui venivano individuate cause legate ai fenomeni più disparati dalla transizione energetica, agli hacker, a fenomeni atmosferici non meglio individuati.
Non è facile in questo momento ricostruire quanto avvenuto poiché, in casi come questo, è necessario analizzare una quantità enorme di dati provenienti da più fonti ed i fenomeni non sempre sono riconducibili ad una unica causa ma una pluralità di concause.
Insomma, quando qualcosa va storto, come nel caso della Spagna, bisogna avere pazienza, raccogliere i dati ed analizzarli in gruppi di lavoro ampi e multidisciplinari. In questi giorni abbiamo visto una ridda di ipotesi, le più svariate e, a volte, fantasiose accompagnate da un clima da tifo calcistico con tifoserie opposte sui pro e contro le rinnovabili e una transizione energetica ritenuta troppo spedita.
È prematuro trarre conclusioni definitive: eventi di tale portata richiedono tempo, analisi accurate e la collaborazione di team di esperti multidisciplinari per una ricostruzione attendibile.
Seguirà nei prossimi mesi una dettagliata ricostruzione degli eventi a cura di varie organizzazioni prima fra tutte ENTSO-e, l’organizzazione dei TSO elettrici europei, che ha impostato un percorso di indagine destinato a durare qualche mese ed iniziato nell’immediatezza dell’evento.
In questo momento, qualche primo dato diffuso può solo permetterci di lumeggiare i principali eventi e fare un’analisi che, per quanto detto, non può che essere preliminare e non conclusiva.
Cosa può essere successo?
Vediamo la situazione prima del blackout. A fronte di un carico di circa 30 GW, la produzione era per lo più costituita da circa 2,9 GW da fonte eolica, circa 19.7 GW di produzione fotovoltaica, 3.5 GW di produzione idroelettrica, 3.4 GW da fonte nucleare e 2.2 GW da cicli combinati a gas. Quindi, la produzione era caratterizzata da circa il 70% da fonti non programmabili e inverter-based. Le restanti produzioni tra cui un 11 % circa di nucleare erano di tipo programmabile.
Prima del blackout i prezzi dell’energia erano molto bassi per cui la Spagna esportava verso Francia, Marocco e Portogallo e, ovviamente, utilizzava questa energia a basso prezzo per gli impianti di pompaggio. Infatti, in analogia al blackout italiano del 2003, vi era un carico aggiuntivo di 3 GW costituito da impianti idroelettrici di pompaggio, in crescita rispetto al momento del blackout.
La Spagna stava esportando più di 1 GW, in diminuzione, verso la Francia al momento del blackout. Nelle ore successive al blackout ed al distacco dal resto dell’Europa, l’importazione dalla Francia ha consentito una più veloce procedura di riaccensione della rete.
Figura 1 –Produzione sulla rete della Spagna durante la giornata del 28 aprile 2025 (fonte: entso-e)
Figura 2 – Andamento dei flussi di potenza tra Spagna e Francia (fonte: ENTSO-e)
Nella tarda mattinata del 28 aprile, da più parti in Europa sono state registrate oscillazioni elettromeccaniche di significativa entità, rilevate da sincrofasori (anche detti PMU Phasor Measurement Units) oggi largamente diffusi su tutta la rete europea e che si rileveranno utilissimi per la ricostruzione degli eventi (così come fecero per il blackout italiano del 2023 i pochi allora presenti).
Source: Gridradar
Note: Frequency measured from Gridradar’s unit in Málaga
Figura 3 – Andamento della frequenza a Malaga (fonte:Gridradar)
Sono state osservate oscillazioni di frequenza, intorno alle 12.04 con frequenza intorno a 0,7 Hz e durata di circa 4 minuti e alle 12.19 di durata di circa 5 minuti, con frequenza molto più bassa di circa 0.2 Hz quasi sicuramente una oscillazione inter-area che ha interessato il sistema elettrico europeo.
Dalle frequenze misurate, è possibile ipotizzare che la prima oscillazione (30 minuti prima del blackout) sia stata dovuta a qualche disturbo di rete come la perdita di un gruppo di generazione ovvero di una linea di trasporto in alta tensione.
Questa seconda ipotesi sembrerebbe confortata da alcune dichiarazioni di Red Eléctrica de España (REE), il gestore della rete di trasmissione iberica, per cui il blackout sarebbe stato innescato da un guasto su una linea di trasmissione ad alta tensione tra la Catalogna francese e quella spagnola. Sarebbe interessante capire, per le considerazioni che seguono, se si tratta del collegamento HVDC insistente in quell’area.Sulla base della dichiarazione della presidente di Red Eléctrica, Beatriz Corredor “Non è corretto collegare l’incidente alle rinnovabili. La causa è stata un problema tecnico legato alla rete di trasmissione”.
Anche il primo ministro Pedro Sánchez ha ribadito che “la disconnessione delle fonti rinnovabili è avvenuta dopo l’inizio del collasso di sistema”.Quindi, le dichiarazioni ufficiali di REE e del governo spagnolo escludono una responsabilità diretta legata alla produzione, sottolineando invece un problema tecnico nella rete di trasmissione.Non è ancora chiaro quale sia stato l’evento iniziale e cosa abbia provocato l’oscillazione iniziale della frequenza alle 12.04. Sta di fatto che, intorno alle 12.19, si innescano una serie di eventi, tra cui una oscillazione a bassa frequenza (0,2 Hz) poco smorzata tipicamente dovuta alle cosiddette oscillazioni inter-area ovvero alla oscillazione della Spagna nella sua interezza rispetto al resto dell’Europa. Le oscillazioni di frequenza inter-area sull’interconnessione qualora poco smorzate, sono fenomeni particolarmente pericolosi e potrebbe essere la causa dell’isolamento del sistema iberico dalla Francia.
Probabilmente per contrastare tale fenomeno, il TSO spagnolo (REE) ha iniziato a diminuire l’esportazione come risulta dagli andamenti dei transiti tra Spagna e Francia (Figura 2).
È possibile che qualcuna di queste manovre orientate alla riduzione della produzione spagnola sia risultata eccessiva o abbia subito qualche malfunzionamento. Inoltre, risulterebbe che tra le 12.25 e le 12.30 (quindi prima del blackout) un gruppo di una centrale nucleare in Francia nell’area di Tolosa diventa indisponibile (fonte EDF), ad indicare la sussistenza di qualche problema tecnico.Successivamente al fenomeno di “islanding”, intorno alle 12.33, nel giro di pochi secondi, si sarebbe avuto uno spegnimento a cascata dei generatori lungo tutta la rete iberica nonostante l’intervento dei piani di difesa (resi evidenti da una riduzione della pendenza in discesa della frequenza). Nessun effetto significativo si realizzava nel resto dell’Europa.
Una separazione della penisola iberica si era anche avuta recentemente il 24 luglio 2021 ma, in quel caso, il sistema di difesa in emergenza non causò un blackout generale. Interessante l’invito di ENTSO-e, a valle di una inchiesta su quel caso, ad un maggiore coordinamento delle protezioni di sotto-frequenza tra TSO e DSO.Nel caso attuale il crollo della frequenza, sebbene limitato nei primi istanti successivi alla perdita di interconnessione diventa nel giro di pochi secondi molto rapido con una derivata della frequenza pari a circa 1Hz/s, indice di un distacco rapido delle unità produttive. Sarà interessante verificare l’entità dei distacchi tra le varie tipologie di generazione e la loro afferenza alla rete in AT e MT.
La rapidità del fenomeno è indicativa di uno squilibrio generazione/carico significativo dopo la perdita dell’interconnessione che si è evoluto in fenomeni a cascata e che mostra la possibilità di alcuni problemi nelle linee di difesa (ad esempio su LFDD- Low Frequency Demand Disconnection, bassa inerzia, regolazione primaria, sistemi di Fast Frequency Response, piani di alleggerimento del carico, etc.).
La ripresa delle condizioni di funzionamento normale del sistema iberico è stata sostanzialmente buona. ENTSO-e, in questi giorni, si è congratulata con Red-Electrica e REN per il rapido ripristino della funzionalità della rete tenuto presente anche l’estensione dell’incidente.Interessante il commento del primo ministro Sanchez che ha dichiarato che le centrali nucleari spagnole non sono state un aiuto in questa crisi ma un problema, per via delle difficoltà aggiuntive per ripristinare il loro allaccio alla rete, sforzi che hanno distolto tempo e risorse dal risolvere il blackout. Sarà interessante aspettare i report di ENTSO-e su questo per verificare tali affermazioni sul piano tecnico.
Com’è possibile che vada in tilt un intero sistema elettrico di una nazione avanzata come la Spagna? Siamo davvero così fragili?
Il blackout che ha colpito di recente la Spagna ha destato grande interesse, non solo per l’estensione geografica, ma anche per l’impatto sulla vita quotidiana e sulla percezione generale della sicurezza energetica dovuta alla rilevante copertura mediatica e social. Non è la prima volta che avviene un fenomeno del genere nonostante il costante impegno mirato a scongiurare fatti di questo genere. Anche in Italia, si ricorderà, nel 2003 abbiamo sperimentato un blackout generale di dimensioni anche maggiori di quello in esame.
Ricordiamo che il sistema elettrico per la trasmissione e distribuzione dell’energia rappresenta tutt’ora la macchina più complessa che il genere umano abbia mai costruito: ha una estensione geografica immensa con dimensioni continentali, deve funzionare in real-time bilanciando costantemente richiesta e produzione di energia elettrica, coordinare milioni di componenti molto diversi l’uno dall’altro con costanti di tempo e tempi di risposta che vanno dai micro-secondi ai mesi/anni, ha la necessità di competenze interdisciplinari che vanno dalla ingegneria elettrica, informatica e ambientale alla economia dei mercati elettrici alla geopolitica ed essendo una infrastruttura critica, come verifichiamo in questi giorni, è essenziale per la convivenza civile ed è gestita in condizioni di sicurezza e resilienza per essere in grado di resistere e autoripararsi anche a seguito di guasti multipli e condizioni di funzionamento imprevedibili, etc. Essendo una sistema cyber-fisico globale che richiede un livello altissimo di coordinamento, automazione e controllo è definita da molti “la macchina, più complessa mai costruita”.
Proprio per questo, non è possibile assumere un rischio zero per eventi di questo tipo. Ma l’impegno a rendere sempre minori le possibilità di blackout è costante sin da quando abbiamo sperimentato per la prima volta gli effetti della perdita totale di energia elettrica su New York 60 anni fa. Da allora abbiamo fissato dei criteri di sicurezza cosiddetti di Sicurezza N-1 per cui un sistema elettrico deve funzionare correttamente non solo a rete integra ma anche quando uno qualunque dei suoi componenti (linee, trasformatori, unità di generazione, etc.) viene meno inaspettatamente. L’applicazione di questo criterio, lì dove applicato, ha fatto sì che l’affidabilità delle reti elettriche fosse elevatissima. Da qualche tempo, si stanno introducendo criteri ancora più restrittivi e a vantaggio di sicurezza come sicurezza N-2.
No, non siamo fragili ed abbiamo tutte le potenzialità per una trasformazione epocale del sistema elettrico. Possediamo una tecnologia sia dell’industria elettrica che informatica che non ha mai visto precedenti nella storia.
Il Blackout spagnolo ha immediatamente dato voce agli scettici della transizione energetica che hanno additato il fenomeno come una conseguenza quasi automatica del passaggio dalle fonti fossili (secondo loro affidabili) a quelle rinnovabili (inaffidabili, sempre secondo gli stessi denigratori) e un’anticipazione terrificante di quello che ci potrebbe attendere nel futuro. Ma è vero che la transizione energetica verso le fonti rinnovabili presenta questi lati oscuri e questi profili di rischio?
Sulla base della ricostruzione appena fatta, è possibile tirare qualche conclusione che non possono che essere assolutamente preliminari. L’incidente è legato a problematiche che riguardano il sistema nel suo complesso e non solo la tipologia di generazione. Una prima serie di eventi, come abbiamo detto, alcune oscillazioni mezz’ora prima del blackout possono essere ricondotte a perdita di generazione o come dichiarato da RED elettrica alla perdita di una linea di trasmissione. Questo ha causato un primo comportamento perturbato e “nervoso” della rete. Successivamente si evidenziano oscillazioni inter-area poco smorzate. A cosa possono essere dovute?
La penisola iberica rappresenta una appendice del continente europeo e per questo è interconnessa con il resto dell’Europa continentale solo attraverso la Francia ed un numero limitato di linee, cosa questa che predispone a collegamenti “più laschi” rispetto a quelli che si possono osservare nei paesi centro-europei più fortemente connessi essendo all’interno di un sistema più magliato. Interconnessioni meno “rigide” predispongono a queste oscillazioni.
Le oscillazioni inter-area possono però essere smorzate attraverso componenti noti come Power-System-Stabilizers (PSS) connessi alle unità generatrici convenzionali. Può accadere però che essi non avessero i loro parametri di controllo aggiornati, adattati (tuned) alle reali condizioni del sistema oppure che si sia realizzata una condizione di generazione in cui il numero di PSS fosse basso. Questo secondo caso potrebbe essere dovuto ad una prevalente generazione inverter-based non equipaggiata con questi sistemi.I sistemi di trasmissione in HVDC, con sistemi di controllo avanzati, possono anche essi ridurre le oscillazioni inter-area efficacemente come dimostrato dalla pratica corrente.
Sarebbe interessante sapere, nel caso specifico, il ruolo svolto dalla interconnessione con la Francia dalla linea HVDC Santa Llogaia-Baixas che incrementa la capacità di trasporto di 1400 MW e, quando, si è effettivamente perso questo collegamento durante la disconnessione della Spagna. Se si fosse staccata prima delle oscillazioni osservate non avrebbe potuto smorzare i transitori inter-area.
La disconnessione del sistema iberico dal resto della rete europea segna, comunque, il passaggio da una fase critica iniziale al crollo rapido della frequenza. La successiva cascata di eventi di distacco ha coinvolto una larga parte della generazione presente, tra cui anche la generazione inverter-based che risulta suscettibile alle perturbazioni.
Su questo ultimo aspetto va sottolineato che i sistemi inverter-based possono essere resi meno sensibili ai disturbi di rete attraverso: l’insieme di regole tecniche di connessione introdotte successivamente all’incidente che, nel 2006, causò la separazione della rete europea, l’aggiornamento dei requisiti del low voltage ride through che, stando al documento ENTSO-e relativo all’incidente del 2021 in Spagna, potrebbero aver causato la disconessione di un numero rilevante di unità prive di questa capacità, la realizzazione di inerzia sintetica e l’uso di inverter grid-forming, etc.L’accumulo su larga scala, la fast-frequency regulation, l’uso dei compensatori sincroni per fornire inerzia, controllo della tensione e maggiori correnti di cortocircuito risultano essere strumenti essenziali per garantire operational reliability e security al sistema.
Quindi, sulla base dei dati di cui disponiamo in questo momento, non sembrerebbe che l’evento sia caratterizzabile come un effetto strettamente correlato alla transizione energetica. Abbiamo avuto in passato blackout anche quando le rinnovabili non erano affatto diffuse. Si ricordi, ad esempio, l’anno maledetto del 2003 ed i blackout in USA, in Italia e in tanti altri paesi del mondo.Come si è detto, l’incidente spagnolo del 2025 sarà probabilmente imputabile ad un problema che riguarda l’evoluzione del sistema di trasmissione e distribuzione.
Siamo difronte a nuove sfide che innalzano ancora l’asticella del progresso tecnologico necessaria ad una corretta ed efficace gestione dei sistemi energetici: una transizione energetica che riduca l’uso delle fonti fossili inevitabile, la sostituzione di alcuni vettori energetici in favore di elettricità proveniente da fonti rinnovabili in una logica di Clean Electrification, incremento dei consumi elettrici nei trasporti, nel riscaldamento, coinvolgimento diretto dei consumatori e prosumer nella gestione del sistema, etc.È importante investire in nuove tecnologie per rendere la generazione rinnovabile più robusta, come l’inerzia sintetica, i sistemi grid-forming, i compensatori sincroni e la regolazione rapida della frequenza (Fast Frequency Response). Anche lo storage su larga scala può giocare un ruolo cruciale nel garantire la stabilità del sistema. Tutti strumenti già disponibili, ma non ancora pienamente utilizzati.
Gli strumenti tecnologici, regolatori e di standardizzazione ci sono tutti e sono abbastanza completi. Serve solo un approccio realistico al problema, una chiara visione sistemica e multidisciplinare delle problematiche anche socioeconomiche che queste trasformazioni possono porre, e la volontà di affrontare le nuove sfide con politiche coerenti.
La fragilità delle reti di distribuzione elettrica su grande scala, dimostrata da blackout che cominciano ad essere frequenti, dovrebbe spingere, secondo lei, a sviluppare più convintamente sistemi meno centralizzati, basati sull’autoproduzione in loco e l’autoconsumo, come sembra indirizzare il modello delle CER? Ovvero, frammentare produzione e consumo potrebbe ridurre il profilo di rischio di eventi catastrofici come quello avvenuto in Spagna?
Su questo rispondo dicendo che non credo che i sistemi centralizzati di trasmissione e distribuzione dell’energia elettrica siano fragili e anzi costituiscono il backbone ed il “collante” del nostro sistema energetico favorendo, a loro volta, la realizzazione di sistemi decentralizzati al loro interno.
Su questo tema stiamo sviluppando diverse attività di ricerca tra cui il progetto SCORET (Smart COmmunities for a Resilient Energy Transition) finanziato come Progetto di Rilevante Interesse Nazionale dal MUR che vede il Politecnico di Bari, insieme ad altri 4 Atenei italiani (PoliMi, Sapienza, Uni Salerno, UniCagliari).
Crediamo che l’infrastruttura elettrica centralizzata sia ancora essenziale per garantire una gestione efficiente e sicura del sistema elettrico ma che al suo interno essa debba accogliere lo sviluppo di piccoli sistemi decentralizzati costituiti da risorse di produzione e accumulo distribuite basate sul modello delle microreti (Microgrids) su varie scale dal piccolo prosumer alle CER, ai Positive District etc. Questo sistema embedded potrà contribuire oltreché alla produzione e accumulo diffuso di energia elettrica anche alla fornitura di servizi ancillari locali e al miglioramento delle condizioni di sicurezza e resilienza dello stesso sistema elettrico nella sua globalità.
Moltissimi in questi giorni insistono sulla necessità di dotare gli edifici di sistemi di accumulo energetico in grado di aumentarne la resilienza in caso di interruzione dell’erogazione di energia, magari integrando al sistema la mobilità in modalità Vehicle to grid. Può essere una strada da intraprendere in un’ottica di transizione energetica del patrimonio edilizio indotta dalla EPBD4?
Come dicevo produzione e accumulo decentrato possono contribuire ad aumentare la resilienza del sistema elettrico sicuramente a livello di sistema di distribuzione fornendo servizi ausiliari di sistema (ancillari) locali che possano risolvere congestioni o problemi di tensione ma anche, probabilmente, fornire servizi di black start o di isola intenzionale per i servizi elettrici essenziali.
L’integrazione del Vehicle to Grid o meglio del Vehicle to Home può sicuramente essere un obiettivo da perseguire per fornire servizi di back up o di gestione flessibile dei consumi a livello di edificio.
Un problema può essere costituito dalla numerosità di questi piccoli impianti, la loro osservabilità e il loro coordinamento. Fortunatamente la digitalizzazione dei sistemi elettrici, la regolamentazione come, ad esempio, il nostro nuovo TIDE che proclama la neutralità tecnologica o il TIAD, gli standard tecnici come la norma CEI 0-16 che fissa le principali caratteristiche dei Controllori Centrali di Impianto per garantire l’osservabilità o gli standard a livello internazionale quali la IEEE 2030 che canonizzano le funzioni di controllo delle microreti per il sistema e tanto altro ancora attestano la maturità del settore. Siamo pronti.
In conclusione, l’incidente spagnolo non rappresenta il fallimento della transizione energetica, bensì una sfida tecnica da affrontare con strumenti innovativi e un approccio sistemico. Il passaggio verso una rete elettrica sostenibile, digitalizzata e partecipativa è inevitabile e necessario per affrontare le crisi ambientali e i nuovi modelli di consumo. Ma per garantire affidabilità e resilienza è fondamentale rafforzare la rete, adeguare le regole tecniche, investire nella formazione e promuovere una visione multidisciplinare e non ideologica del futuro energetico europeo.
Massimo La Scala è nato a Bari il 25 ottobre 1959. La laurea in Ingegneria Elettrotecnica Massimo La Scala la consegue con lode nel 1984 presso l’Università di Bari concludendo brillantemente i suoi studi universitari. La sua formazione didattico scientifica viene arricchita professionalmente nel 1987 quando opera come ingegnere presso il Compartimento di Napoli dell’ENEL. Successivamente Massimo La Scala frequenta il dottorato di ricerca in ingegneria Elettrotecnica presso l’Università di Bari. Nell’ambito del dottorato, egli ha il suo primo incontro con gli Stati Uniti svolgendo nel 1988 attività di ricerca in qualità di Visiting Faculty Associate presso il Department of Electrical Engineering – Arizona State University su un progetto della National Science Foundation; tale esperienza getterà le basi per alcune collaborazioni tra il Politecnico di Bari ed alcuni Atenei Statunitensi inserendolo negli ambienti scientifici internazionali. Attualmente è Professore Ordinario di Sistemi Elettrici per l’Energia presso il Politecnico barese.