Banda larga: il piano del Governo e la divergenza con le telco

17 Marzo 2016 Smart Building Italia


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Mentre il commissario Ue all’Economia digitale Günther Oettinger è impegnato in una serie di incontri istituzionali e con il mondo delle imprese per fare il punto sulla strategia digitale del nostro Paese (visita anticipata da tweet non proprio lusinghieri sullo stato delle cose in Italia), sul sito de L’Espresso è stato pubblicato un lungo articolo con l’eloquente titolo “Banda larga, tutti i limiti del piano di Renzi” a firma di Alessandro Longo.

L’articolo del settimanale cita uno studio di tre docenti, esperti del settore: Carlo Cambini (Politecnico di Milano), Antonio Sassano (Sapienza di Roma), Michele Polo (Bocconi di Milano), dove, in estrema sintesi, si legge che le posizioni in campo si trovano nel punto massimo di divergenza: lo Stato da una parte, le telco dall’altra, incapaci nell’individuare una soluzione per «dare al Paese una rete futura di telecomunicazioni sufficiente a garantirci un posto nelle economie sviluppate».

«Nell’impossibilità di mettere d’accordo tutti sugli obiettivi Paese, – ricorda l’articolo – il Governo, dopo un anno di passione, ha deciso di fare da solo e costruire una rete di proprietà pubblica, con i miliardi del piano. In precedenza, invece, e ancora secondo la strategia approvata a marzo 2015, gli operatori dovevano contribuire ovunque all’investimento pubblico e poi avrebbero mantenuto la proprietà della rete».

Tuttavia, non tutti nella Commissione europea sarebbero entusiasti dell’interventismo pubblico, privandosi del contributi degli operatori. «Il piano europeo Juncker per la crescita – ricorda L’Espresso – ha una filosofia diversa: gli investimenti del pubblico non dovrebbero viaggiare da soli ma ottenere un effetto leva per attirare anche quelli privati».

Secondo i tre docenti redattori dello studio i piani del Governo peccano insomma di questo vizio. «Rischiano infatti di spingere gli operatori privati a ritardare i propri investimenti nell’attesa che lo Stato si dispieghi in tutta la propria forza con una propria rete. Invece, l’Italia dovrebbe da una parte rinunciare a investire nelle zone dove i privati vorrebbero fare una rete in fibra. Dall’altra, nelle zone restanti, dovrebbe quanto più possibile incentivarli a costruire una propria rete. Nell’attuale progetto, invece, lo Stato farebbe anche quel 30 per cento con le proprie sole forze, senza alcuna distinzione rispetto a quelle città dove gli operatori privati hanno investito pochissimo o niente».

In conclusione, la tesi dello studio è quella di una rete statale che «dovrebbe privilegiare quest’ultimo tipo di zone e l’incentivo alla domanda, ossia l’acquisto di connessioni fibra ottica da parte di cittadini e imprese. Adesso solo pochi punti percentuali di utenti coperti dalla fibra in effetti vi si abbona. Una quota che è un ordine di grandezza inferiore rispetto alla media europea. Se non si trova una soluzione, tutti i piani, pubblici e privati, falliranno il vero obiettivo. Rinnovare il sistema Paese».