Smart Building: finalmente qualche dato da cui partire

7 Febbraio 2020 Luca Baldin


Presentato il primo report Smart Building del Politecnico di Milano

Si è tenuta ieri presso il Campus Bovisa del Politecnico di Milano la presentazione dei risultati del primo osservatorio sullo Smart Building, messo a punto dall’Energy and Strategy Group del prestigioso ateneo milanese. Un Osservatorio e, soprattutto, una messe di dati che colmano un vuoto significativo e che consentono finalmente di ragionare con cognizione di causa di un comparto in rapido sviluppo anche in Italia.

Dai dati presentati ieri nell’affollata Aula Magna Carassa e Dadda, emerge anzitutto uno sforzo metodologico apprezzabile, che parte dall’esigenza di dare una definizione condivisa di “smart building”. Quella emersa ha il pregio di riassumere bene i pillar attorno a cui ruota la “smartness” di un edificio e, forse, il limite di essere un po’ troppo squilibrata sull’aspetto energy.

Il testo presentato, infatti, definisce smart building

un edificio in cui gli impianti in esso presenti sono gestiti in maniera intelligente ed automatizzata, attraverso l’adozione di un’infrastruttura di supervisione e controllo degli impianti stessi, al fine di ottimizzare il consumo energetico, il comfort e la sicurezza degli occupanti e garantendone inoltre l’integrazione con il sistema elettrico di cui il building fa parte”.

Come si diceva, l’unico aspetto di questa definizione che non convince appieno è l’approccio troppo limitativo alla necessaria integrazione con l’ambiente smart, contenuto al sistema elettrico, che costituisce sicuramente uno dei gradi temi dell’integrazione edificio-ambiente (le smart grid) ma non certamente l’unico. L’edificio connesso è, infatti, uno straordinario produttore e utilizzatore di big data che possono essere sfruttati per migliorare e per accedere ai servizi della smart city che sono alla base della smart citizenship.

Fatto salvo questo limite, si può senz’altro convenire sull’identificazione dei quattro elementi chiave dello smart building: gli impianti (building devices and solutions), la sensoristica e gli attuatori (Automation technologies), le piattaforme di controllo e gestione e infine la connettività. Conforta inoltre il fatto che  al centro di questo sistema ci sia sempre l’uomo, nelle sue diverse vesti di proprietario di immobile, utilizzatore, manutentore o conduttore.

Un sistema che presuppone un approccio “integrato” in grado di superare antiche verticalizzazioni che il digitale ha letteralmente spazzato via; elemento su cui molti dei relatori presenti a Milano hanno insistito, sia dal punto di vista della produzione che, soprattutto, delle competenze e, quindi, degli addetti ai lavori.

Quanto l’intervento di modernizzazione del comparto edilizio sia strategicamente fondamentale, sia per il sistema economico che per l’ambiente, emerge dai dati forniti, peraltro non nuovi, che pongono i buildings tra i principali responsabili del consumo di energia in Europa (40% del totale) e i primi responsabili delle emissioni di CO (36%); ovvero i principali imputati del global warming.

Un problema evidente soprattutto nel vecchio continente, dove facciamo i conti con un patrimonio edilizio che per il 35% supera i 50 anni di vita e per quasi il 75% risulta inefficiente dal punto di vista energetico. Dati che riportati a quelli nazionali addirittura peggiorano e che fa affermare che il vero mercato smart in edilizia riguarderà in Italia soprattutto e azioni di retrofit; ovvero l’inserimento di tecnologia per ridare funzionalità e attualizzare edifici datati che non potranno essere sostituiti da nuovi. Un mercato difficile, ma estremamente interessante e dalle grandissime potenzialità.

Dallo studio del Politecnico, che ha fatto suoi i dati del Global Real Estate Sustainability Benchmark, risulta infatti che i benefici derivanti da interventi di rigenerazione e riqualificazione in ottica smart possono essere quantificati in un aumento del valore dell’immobile tra il 2 e il 17%; in un aumento del tasso di occupazione degli spazi tra il 9 e il 18%; in un aumento del valore dei contratti di affitto compreso tra l’8 e il 35%; e infine in una riduzione dei costi di gestione pari al 30%.  Hard benefit chiaramente monetizzabili a cui si aggiungono i soft benefit, ovvero la ricaduta positiva in termini di comfort abitativo, salubrità, sicurezza, sostenibilità ambientale, interoperabilità, che non possono essere quantificati, ma che impatteranno sempre più sulle scelte degli acquirenti o degli utilizzatori.

Benefit quindi tutt’altro che trascurabili, che dovrebbero spingere sull’adozione delle nuove tecnologie ma che incontrano invece ancora serie resistenze da parte del mercato, soprattutto in termini di sensibilità al tema della filiera progettista-installatore-costruttore che, salvo eccezioni, appare in netto ritardo.

Ma il dato probabilmente più interessante emerso dalla ricerca del Politecnico è la stima del volume d’affari generato dalla filiera dello Smart Building, stimata in Italia nel 2018 in 3,6 miliardi di Euro, con una previsione di crescita nel quinquennio successivo di circa il 20% annuo. Una dato che, oltretutto, per essere completo dovrebbe essere aggregato al volume d’affari del comparto Smart Home che, sempre il Politecnico, ha stimato per il 2018 in circa 380 milioni di Euro, portando la filiera a sfiorare i 4 miliardi di euro/anno.

Molto significativo anche il volume degli investimenti delle aziende riferiti a tecnologie smart, che nel periodo analizzato è stato di circa 800 milioni di euro, in parte significativa legati a nuovi impianti fotovoltaici; mentre i comparti che maggiormente beneficiano in termini di fatturato delle tecnologie dello smart building sono i software provider (21% del totale del loro fatturato annuo), i technology provider (19%) le ESCo (15%) e infine gli studi di progettazione (15%). Con percentuali inferiori la filiera si conclude con le utility, i facility manager e le TelCo.

Ma in una logica di asset management, lo studio del Politecnico, in chiusura,  evidenzia utilmente un aspetto su cui si sta iniziando a ragionare, determinante in termini di politiche delle società del real estate e, quindi, della diffusione delle tecnologie smart per gli edifici, ovvero la possibilità di “misurare” il grado di intelligenza di un edificio. Un tema emerso con chiarezza anche nel corso dell’ultima edizione di Smart Building Expo nel corso di un interessante workshop curato dal Prof. Andrea Ciaramella del Politecnico che ha coinvolto anche l’associazione e-Valuations.

Al riguardo il gruppo di lavoro dell’Osservatorio ha “testato” un nuovo strumento che promette di risultare molto utile per il settore, ovvero lo Smart Readiness Indicator (SRI), ovvero lo standard europeo che servirà a classificare proprio la smartness di un edificio e che dovrebbe essere varato definitivamente nel giugno di quest’anno nel quadro della revisione della Direttiva Europea sul rendimento energetico nell’edilizia (844/2018).

Obiettivo dell’indicatore europeo sarà quello di aumentare la consapevolezza in merito ai vantaggi derivanti dall’uso di tecnologie intelligenti dal punto di vista energetico e del comfort abitativo; di motivare i consumatori ad investire in queste tecnologie; e infine di sostenere l’innovazione tecnologica nel campo dell’edilizia.

Un panorama estremamente interessante, quindi, quello emerso da questo primo Smart Building Report del Politecnico di Milano, che permette di guardare allo sviluppo del settore con moderato ottimismo.

Luca Baldin

Project Manager di Pentastudio e della piattaforma di informazione e marketing Smart Building Italia. È event manager della Fiera Smart Building Expo di Milano e Smart Building Levante di Bari. Dirige la rivista Smart Building Italia.