COP28 di Dubai, ovvero il cambiamento climatico raccontato dai petrolieri

20 Dicembre 2023 Marco Ventimiglia


Si è concluso il più controverso summit di sempre, a partire dalla sede, sul surriscaldamento globale. Accomodante e inevitabilmente poco incisivo l’accordo finale

Avete presente quella lista di eventi impossibili che si trova nella testa di ciascuno di noi? Cose del tipo, “la suocera che va d’accordo con il genero”, “l’Italia che azzera il suo debito pubblico”, piuttosto che “un americano bravo a cucinare gli spaghetti”? Bene, tenete presente che “un petroliere alla guida di una conferenza sul surriscaldamento globale” non fa più parte di questa categoria. E non perché potrebbe succedere, ma perché è appena accaduto! Ce lo racconta la cronaca della recente COP28, la periodica conferenza delle Nazioni Unite sui cambiamenti climatici dove peraltro si è assistito ad altre cose incredibili.

Il paradosso della sed

Che l’appuntamento con la COP di Dubai sarebbe stato ben diverso dai precedenti lo si era già capito alla scelta della nazione ospitante, quelli Emirati Arabi che insieme agli altri Paesi della Penisola arabica costituiscono da molti decenni l’area planetaria da cui proviene una parte gigantesca dei combustibili fossili principali responsabili delle emissioni climalteranti. E quando, il 30 novembre, ad aprire i lavori si è presentato Sultan Al Jaber, presidente della delegazione ospitante degli Emirati Arabi ma soprattutto capo dell’azienda petrolifera di Stato di Abu Dhabi, le nutrite delegazioni presenti hanno avuto la definitiva conferma dell’inizio di un’esperienza surreale…

Esperienza surreale che si è poi conclusa, dopo lunghe trattative e polemiche assortite, il 12 dicembre con un altro di quegli avvenimenti da depennare dalla lista delle cose impossibili. Ad essere incredibile non è stato il contenuto del celebrato annuncio che ha concluso la COP28, ma chi quelle parole ha pronunciato. Infatti, l’aver raggiunto “un accordo storico con l’impegno ad abbandonare (transitioning away) i combustibili fossili nei sistemi energetici, in modo giusto, ordinato ed equo” in realtà non aggiunge nulla agli obiettivi già stabiliti della transizione energetica. Ma il fatto che lo abbia annunciato il citato Al Jaber, che sui combustibili fossili ha costruito la sua fortuna al pari di tanti connazionali, ha reso la comunicazione grottesca. Tanto più che lo stesso personaggio pochi giorni prima aveva sollevato un putiferio affermando candidamente che “senza greggio si tornerebbe all’era delle caverne”.

I contenuti dell’accordo

Abbiamo lasciato per ultimi i contenuti dell’accordo di Dubai, non per pigrizia ma perché aggiungono ben poco, come detto, a quanto già stabilito in relazione alla lotta al surriscaldamento globale e alle modalità della transizione energetica, in primis con l’Accordo di Parigi risalente ormai a otto anni fa. Nel testo conclusivo di Dubai si parla di “accelerare l’azione in questo decennio critico sulla base della migliore scienza disponibile, riflettendo l’equità e il principio delle responsabilità comuni, ma differenziate in considerazione delle rispettive capacità alla luce delle diverse circostanze nazionali e nel contesto dello sviluppo sostenibile e degli sforzi per sradicare la povertà”. E fra i pochi obiettivi quantificati nel documento, c’è il “triplicare la capacità di energia rinnovabile a livello globale e raddoppiare il tasso medio annuo globale di miglioramento dell’efficienza energetica entro il 2030”.

Che poi l’accordo si muova nel contesto dell’Accordo di Parigi lo conferma l’impegno a “limitare il riscaldamento globale a 1,5 °C senza alcun superamento o con un superamento limitato. Impegno che richiede riduzioni profonde, rapide e durature delle emissioni globali di gas serra, pari al 43% entro il 2030 e al 60% entro il 2035 rispetto al livello del 2019, per riuscire ad azzerare le emissioni di anidride carbonica entro il 2050”. Da segnalare, infine, il passaggio nel quale si passano in rassegna tutte le alternative al sistema energetico basato sui combustibili fossili, ovvero “le tecnologie a zero e a basse emissioni, comprese le energie rinnovabili, il nucleare, le tecnologie come la cattura, l’utilizzo e lo stoccaggio dell’anidride carbonica, e la produzione di idrogeno a basse emissioni di CO2”.

 

 

Marco Ventimiglia

61 anni, dal 1989 giornalista professionista de l'Unità dove ha ricoperto vari ruoli dapprima nella redazione sportiva e poi in quella economica. Esperto di nuove tecnologie, ha realizzato per anni il supplemento Unità Multimedia e curato il Canale Tecnologia su Internet. Negli ultimi anni realizza sul Web articoli sulla transizione energetica, la mobilità elettrica, il rinnovamento del patrimonio immobiliare, oltre che dare conto delle evoluzioni politiche e normative in materia.