Alluvioni e transizione energetica

9 Giugno 2023 Luca Baldin


Lo sfruttamento selvaggio del suolo è una delle ragioni delle conseguenze drammatiche di fenomeni atmosferici sempre più estremi. Ecco perché un ripensamento sul tema delle superfici industriali inutilizzate diventa strategico

Il dibattito sul consumo di suolo in Italia non è certamente nuovo, ma segue un andamento carsico, affonda nei meandri del dimenticato per lunghi periodi per poi tornare a galla, con evidenza e drammaticità, in occasione delle sempre più frequenti catastrofi ambientali, dettate da fenomeni atmosferici sempre più violenti dovuti al riscaldamento globale in atto.

È successo anche in queste settimane a causa della disastrosa alluvione dell’Emilia-Romagna che ha riproposto all’attenzione dell’opinione pubblica un dato eclatante: nel nostro Paese la copertura artificiale di suolo e quindi la sua impermeabilizzazione, raggiunge la cifra record del 7,13% a fronte di una media europea del 4%.

Una fetta rilevante di questa impermeabilizzazione, specie nella Pianura Padana, è dovuta alla crescita smisurata e disordinata del numero di edifici produttivi e di aree artigiani e commerciali sovradimensionate che nel medio termine si sono dimostrati del tutto inutili. Un fenomeno, è bene ricordarlo, che ha subito una forte accelerazione grazie agli incentivi della cosiddetta Legge Tremonti bis del 2001, che consentiva di detassare il reinvestimento degli utili d’impresa nella costruzione di immobili destinati all’azienda, senza alcuna valutazione sulla loro reale necessità col solo esito di gonfiare di immobilizzazioni i bilanci delle imprese.

Confindustria Veneto Est, attraverso il progetto “Capannoni on/off”, ha censito questa situazione nel Veneto ed è arrivata alla cifra mostruosa di oltre 10 mila capannoni industriali attualmente dismessi, ma il più delle volte non orfani, ovvero con proprietari ben decisi a “difendere” il loro conto capitale, anche se il più delle volte macroscopicamente gonfiato.

Una situazione ben nota che tuttavia vede oggi l’introduzione di un’ulteriore variabile, ovvero l’esigenza di convertire in termini green le produzioni, in primis attuando una rapida transizione energetica, resa ancor più urgente dall’esplodere dei costi di approvvigionamento delle fonti fossili.

I temi, quindi, sono diventati almeno due e sono entrambi importanti, ma per procedere sarà indispensabile fare una netta distinzione tra quei capannoni edificati al di fuori degli ambiti produttivi e quelli che viceversa fanno parte di aree artigianali e industriali dotate di una minima coerenza. I primi, infatti, dovranno essere semplicemente abbattuti, recuperando le loro superfici alla permeabilità o a progetti di rigenerazione urbana al fine di aumentare la resilienza del territorio. I secondi potranno essere convertiti a superfici utili alla produzione di energia solare, contribuendo alla decarbonizzazione.

Questa è l’idea di Confindustria Veneto Est, che inserisce nel ragionamento l’occasione unica di dar vita a moltissime Comunità Energetiche, potenzialmente in grado di abbattere in modo determinante i costi energetici delle imprese attive, ma anche di contribuire al consumo di edifici pubblici e privati.

In attesa che l’Unione Europea approvi i decreti attuativi sulle Comunità Energetiche, cosa che dovrebbe avvenire a brevissimo e la cui mancanza costituisce una freno del sistema, la Regione Veneto ha stanziato un fondo previsionale di 10 milioni di euro con l’obiettivo preciso di stimolare ulteriormente la nascita di tali realtà sul suo territorio, identificando quell’obiettivo come strategico per lo sviluppo futuro del Veneto.

Si tratta di stimoli importanti, che vanno ad aggiungersi a quelli insiti nel meccanismo delle Comunità Energetiche e che potrebbero convincere molti proprietari di capannoni fantasma a convertire i loro siti a vantaggio proprio, ma anche della collettività.

L’occasione è di quelle che non si possono assolutamente perdere, ed è soltanto un ulteriore tassello di quella incredibile rivoluzione in atto, che da due anni a questa parte ha messo letteralmente le ali e che, forse, ci permetterà di porre qualche rimedio ad alcuni macroscopici errori fatti nel recente passato nella gestione di un territorio fragile di suo e reso ancor più fragile da un’urbanizzazione senza criteri.

 

 

Luca Baldin

Project Manager di Pentastudio e della piattaforma di informazione e marketing Smart Building Italia. È event manager della Fiera Smart Building Expo di Milano e Smart Building Levante di Bari. Dirige la rivista Smart Building Italia.